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Da Tognolini a Pasolini: La poesia della rabbia

Siamo soliti considerare la rabbia come qualcosa di nuvoloso, un sentimento deprecabile perché indirizza i nostri pensieri su strade ignote non ancora battute dalla ragione, verso percorsi che incupiscono la fiamma che racconta chi siamo.

Se ci pensate per sua natura non esiste di per sé stessa, non può, perché si lega in maniera indissolubile ad una qualche emozione precedente, come nel caso della delusione, o della pazienza mancata. La rabbia è la risultante di un’equazione in cui il sentimento positivo viene meno; è quel senso di smarrimento che indirizza il nostro stomaco ad una sorta di bollore profondo che, come incendio, divampa da dentro, creando un fumo nero e fitto al punto tale da annebbiarci la vista. Forse è proprio per questo che si è soliti dire “Acciecato dalla rabbia”.

È un impulso che vive in noi attraverso principi di correlazione, come se abitasse in prossimità di ogni sentire positivo, pronto ad emergere dall’ombra in cui si nasconde, perché esso è l’ombra di ogni sagoma d’emotività. E anche se in Peter Pan, l’ombra si librava disgiunta e libera dalla figura del suo proprietario mentre la fatina Trilli tentava di ricucirla ai suoi piedi, qui non siamo nel mondo delle favole, e non ce ne potremo mai e poi mai liberare davvero. L’ombra, del resto, è la proiezione di noi stessi che vive solo in presenza di luce, e se vogliamo quest’ultima nel quotidiano, dobbiamo accettare anche le verità più scomode e buie.

La si racconta spesse volte come l’antagonista della vicenda, come quella da riporre in un angolino, senza darle troppo spazio per dire la sua. Eppure, pensandoci bene quante volte questa ci è venuta a trovare facendoci ammettere ciò che pensavamo davvero, in situazioni dove non ci eravamo esposti nel timore di ferire l’altro, o per paura di gridare a piena voce ciò che avevamo dentro? Perché rabbia ha una duplice volto, che racconta talvolta ciò che noi proviamo oltre la superficie della pelle, e talvolta ciò essa stessa prova durante le sue emersioni dalle profondità del petto; ed è utile alla nostra crescita, solo quando sappiamo gestirla, addomesticarla, senza che essa si trasformi come faro nelle tenebre per i naviganti, nelle notti di burrasca.

“L’ira e la beffa sono signorili. L’ira e la querimonia no”

Il concetto di rabbia lo associamo quasi sempre al volto di un adulto, all’offesa arrecataci da un adulto, all’antipatia verso un adulto; insomma: sempre e solo di adulti si parla (egocentrici maledetti). Eppure, ci dimentichiamo come arrabbiarsi faccia parte di tutte le fasi della crescita di una persona, persino delle nostre versioni in miniatura: i bambini. Quando qualche anno fa vidi per la prima volta il film “Inside Out”, mi sentii meno sola nel vedere che qualcun altro oltre a me, era convinto di avere delle folli personificazioni delle emozioni umane nella testa. E tra le altre, c’era ovviamente anche Rabbia, un esserino rosso fuoco, infiammabile a dir poco e scorbutico come pochi, che viveva nella mente di una bambina comune, costellata di gioia e delusioni come la mente di chiunque. Perché anche i bambini a modo loro vivono la rabbia, e proprio in quanto realtà emotive in divenire, è necessario mostrare loro come viverla ed elaborarla nella migliore delle maniere. Per questo ho scelto di presentarvi Bruno Tognolini, scrittore classe 1951, che per la quasi interezza della sua produzione, si è dedicato al dialogo con i più piccoli, per raccontargli il complicato mondo degli adulti filtrato con occhi d’infanzia.

In “Rime di rabbia”, volume uscito alle stampe qualche anno fa, Tognolini offre a adulti e bambini parole semplici, ma efficaci, per raccontare cosa ci ribolle dentro, esternandolo attraverso il magico contagocce delle “giuste parole”.

“Rabbia, rabbia

Fiato di sabbia

Sangue di gioco

Fiore di fuoco

Fiammeggia al sole

Consuma tutto

Lasciami il cuore

Pulito e asciutto”

Non ci è consentito decidere in quanto farcela passare, ma possiamo scegliere il come farcela passare, con giusta guisa perché se spenta a modo, sfuma meglio. La rabbia raccontata con parole vestite d’ingenuità ha la straordinaria capacità di colpirci tutti, perché se riesce ad arrivare nel punto più buio nel cuore di un bambino, ha la forza di arrivare d’ovunque.

Siamo stati tutti bambini (anche se su certi soggetti ho ancora qualche riserva), e da piccoli il più delle volte affrontavamo le emozioni a modo nostro, così come eravamo capaci per la tenera età. E talvolta bastava un pianto, un respiro profondo, un gelato panna e cioccolato per dimenticarci del motivo per cui eravamo arrabbiati. La verità è che i bambini sono molto più coraggiosi di noi adulti, che invece di mangiarci un gelato come loro alla ricerca di una soluzione, fuggiamo via da qualche parte come mine impazzite e con la testa in fiamme come quella di Rabbia. Tognolini con le sue parole essenziali ci ricorda di tenere l’audacia d’infanzia dentro una teca di vetro, da frangere solo in caso di necessità, come fosse il nostro personale interruttore di emergenza dalla rabbia.

“Vorrei coprirti di fiori e d’insulti”

Come per ogni cosa, anche la rabbia ha una dimensione meno giocosa, più adulta, piuttosto severa, diversa da quella di cui abbiamo trattato finora: è la prospettiva austera del mondo dei grandi, in cui la serietà in giacca e cravatta, risulta avere la meglio su qualunque altra prospettiva. Pur essendo sentimento diffuso nella vita reale, non lo è altrettanto nelle poesie. In versi si tratta molto d’amore, d’odio, dolore e gioia; eppure, quando si tratta di rabbia, il dover percorrere il sentiero di briciole di pane con lei, per giungere alla sua anima privata d’apparenza, risulta sempre un po’ più complicato. Nonostante questo, due colonne portanti della letteratura italiana ci vengono in soccorso: Pier Paolo Pasolini e Alda Merini. Lui del Ventidue, lei del Trentuno, lui bolognese, lei milanese: mondi distanti solo in apparenza, perché incontratisi a metà strada lungo la via della scrittura poetica. Basti pensare che fu lo stesso Pasolini a recensire il primo volume prodotto dalla Merini, sottolineando come in lei vi fosse una qualche “mostruosa intuizione” letteraria, davanti alla quale sapevamo sentirci solo “disarmati”. Ed è proprio parlando in termini di mostruosità, che nello scrutare criticamente l’emozione della rabbia, si scoprono simili una volta giunti a conclusione: la rabbia è un demone, una divinità intermedia tra il divino e l’umano, che scuote l’animo dei viventi nel bene o nel male. Straordinario come le strade talvolta siano distanti, e come nonostante ciò conducano alla stessa linea d’arrivo.

Poesia per il Dottor G. – Alda Merini

“Quando codesto dèmone mi assalta,

e con mani gravose e con mascelle

dense di schiuma tutta mi divora,
io mi rivolgo a te con gli occhi pieni

di muto assenso e non ti dico basta,

so quel che soffri mio signore quando

ho le mani contorte e gli occhi muti,

so che mi vedi fremere di rabbia

contro mille imposture, o canto vero,

se potessi tu pure come esperto

grave chirurgo giungermi nel cuore
e strapparvi il tormento, allora un urlo

io darei di beata meraviglia,
di contentezza, o Dio adorato e pieno

come la notte, se mi capovolgo
vedo le stelle e oscuri firmamenti

tremano in me, di notte, quando taci”.

La poesia è stata scritta al Dottor G. aka Enzo Gabrici, neuropsichiatra che durante il suo soggiorno al Pini di Milano, ha saputo condurla con competenza medica e umana pazienza, verso quell’agognata luce in fondo al tunnel, dentro cui follia e smarrimento erano gli unici protagonisti. Gabrici ha saputo ricordare ad Alda che prima di essere una “matta”, così come si definiva lei, era una donna dotata di umanità. E quella rabbia che tanto la divorava, e che avrebbe voluto strappare via da sé stessa, era il prodotto mal riuscito di cariche istintive represse, che a forza di restare lì, le avevano avvelenato l’anima. Alda cercava meraviglia e beata contentezza, cercava un porto in cui rifugiarsi, al riparo da questo demone che la osservava senza tregua. Alda richiedeva solo un po’ di pace negli occhi, un po’ di tregua da una mente stanca perché assillata senza sosta, come chi ricerca qualcosa per troppo tempo, e ad un certo punto scopre di non sapere più che cosa andava cercando.

La rabbia – Pier Paolo Pasolini

“Ah, gridare è poco, ed è poco tacere:
niente può esprimere una esistenza intera!

Rinuncio a ogni atto… So soltanto
che in questa rosa resto a respirare,
in un solo misero istante,
l’odore della mia vita: l’odore di mia
madre…
Perché non reagisco, perché non tremo
di gioia, o godo di qualche pura angoscia?

Perché non so riconoscere
questo antico nodo della mia esistenza?
Lo so: perché in me è ormai chiuso il demone della rabbia.

Un piccolo, sordo, fosco; sentimento che m’intossica
esaurimento, dicono, febbrile impazienza
dei nervi: ma non ne è libera più la coscienza.

Pier Paolo Pasolini racconta la rabbia con la lucidità di una mente cosciente, consapevole che è quella stessa rabbia a scrutarlo, così come “Lucifero” osserva lo spettatore dentro l’opera di Von Stuck, con sguardo ferino, freddo e penetrante. Sono versi in cui il poeta si racconta dentro uno stato emotivo spiacevole, in un ricordo di vita in cui la madre si dedicava alla cura di un piccolo giardino fatto di rose e arbusti vari. Pasolini ci racconta la rabbia come un demone “piccolo, sordo, fosco”, un demone difficile da acciuffare perché piccolo, privo di risonanze positive perché sordo ed ostacolo per un panorama d’insieme perché fosco. La rabbia è un sentimento che lo intossica e di cui la coscienza fa fatica a liberarsi, nonostante in lui abitino calma e consapevolezza.

Forse però la chiave sta proprio in quello: la rabbia non è un animale selvatico da liberare dal vincolo della gabbia, non è un’emozione da scatenare senza cinture di sicurezza allacciate. La rabbia ha bisogno di essere educata, di essere compresa, metabolizzata e poi rilasciata nell’atmosfera come gas inerte. Dentro la rabbia buttiamo tutto ciò che non ci piace, tutto ciò che non ci serve, sassolini nelle scarpe e

macchine fotografiche usa e getta con il rullino pieno incluse. Noi in primis, dovremmo educarci ad una rabbia gentile, dimenticandoci di gabbie e restrizioni, lasciandola uscire quando serve solo se i modi sono adeguati, solo se noi, più dei tempi, siamo maturi. Perché la rabbia più di altre, ci insegna come le emozioni possano essere costanti fonti di energia per l’uomo, con l’unica variabile che spetta solo a noi scegliere ogni giorno se tramutarla in energia rinnovabile per avere un animo più pulito dall’inquinamento del mondo, oppure no.

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