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Circolare is the new black – La ri-nascita della moda italiana

La ri-nascita della moda italiana

Ci sono un inglese, un francese e ci sei tu, ma non è una barzelletta. Ti sei vestito come capita, come tuo solito, ma in un impeto di patriottismo cali l’asso: “Trust me, guys. I’m Italian, I know fashion.” È che, indubbiamente, noi italiani sentiamo che la moda ci appartiene. Con i nomi dell’alta moda nostrana che risuonano sulle bocche di tutto il mondo, che sfilano sulle passerelle di Hollywood e che nel 2019 avevano registrato un giro di affari di €71,1mld secondo il report dell’Area Studi Mediobanca, è un punto di orgoglio che ci fa sentire sempre un po’ migliori degli altri.

Però non è facilissimo conservare l’orgoglio quando, della moda, andiamo a scoprirne gli impatti di sostenibilità. Secondo le analisi della Circular Fiber Initiative della Fondazione Ellen MacArthur, il 97% dei materiali impiegati nell’industria del fashion sono risorse vergini, estratte cioè direttamente dal pianeta per poter fabbricare i nostri vestiti. 98 milioni le tonnellate di risorse non rinnovabili impiegate, 53 milioni le tonnellate di fibre, il 63% delle quali plastiche. Eppure, il triste destino di questa enorme e preziosa materia prima è la discarica e l’incenerimento nel 73% dei casi – un camion della spazzatura pieno di vestiti ogni secondo, a conti fatti. È tanto, tantissimo. Soprattutto se si considerano le enormi quantità di acqua utilizzata, di gas serra emesse e di sostanze chimiche rilasciate nell’ambiente per la coltura e la lavorazione dei materiali.

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È chiaro che c’è qualcosa che non va e che per risolverlo sia necessaria una transizione verso un nuovo modo di fare e vivere la moda. Quello dell’economia circolare è un paradigma di produzione e consumo che mira a mantenere i materiali e le risorse in uso, eliminando sprechi ed inquinamento e ripristinando la salute degli ecosistemi. Riciclare, spesso considerato baluardo della circular economy, è in realtà un tassello di un percorso molto più ampio che prevede la progettazione di prodotti usabili e riusabili per molto tempo, la riparazione di questi, il recupero delle componenti e dei materiali. Un’economia circolare applicata al settore del fashion mantiene in vita le risorse così preziose che questo si prende, usa e butta, riducendo al tempo le emissioni e i consumi di acqua e sostanze chimiche.

Per fortuna, in Italia c’è tanto talento, tanta creatività e tanta innovazione, e sono varie le proposte di moda circolare che hanno visto la luce negli ultimi anni. È il caso della piattaforma greenchic, nata nel 2015 con il nome armadioverde, sito di recommerce italiano per vendere e comprare i capi pre-loved (una maniera di riferirsi ai vestiti di seconda mano che sicuramente rende loro più giustizia e valore). Greenchic si impegna in tanti modi per realizzare una moda circolare: allunga la vita dei capi con il suo business model, distribuisce quelli che non può usare ad Humana People to People, li manda alle sartorie sociali per rimetterli a nuovo o ne riutilizza gli scarti per produrre nuove collezioni.

Troviamo poi Rifò, che produce capi da fibre tessili rigenerate e rigenerabili, come vecchi indumenti – maglioncini in cashmere, jeans di cotone – che vengono sfilacciati e ritrasformati in nuova materia prima. L’azienda si affida all’esperienza di artigiani locali per una produzione a chilometro zero.

Non soltanto vestiti che tornano ad essere vestiti, ma anche scarti e rifiuti che da spreco diventano valore. Regenesi è un brand bolognese capace di creare design e accessori moda partendo esclusivamente da materiali post-consumo, ossia materiali quali plastica, gomma e alluminio già impiegati in prodotti entrati in commercio, usati e poi conferiti alla raccolta differenziata. Altro caso virtuosissimo e molto noto è Orange Fiber, capace di creare tessuti partendo dalle bucce degli agrumi e che ha collaborato con Ferragamo e H&M su linee di prodotti più consapevoli. Si aggiunge Vegea, milanese e del 2016, che ha ideato un processo per creare biomateriali dagli scarti dell’attività vinicola. Anche la roccia può essere cibo per abbigliamento: succede con la stoffa di Fili Pari, generata nientemeno che dalla polvere di marmo! Le due fondatrici, Alice e Francesca, hanno brevettato un materiale che ridà nuova destinazione agli scarti della lavorazione di questa pietra.

Nelle scarpe di ACBC vanno a braccetto materiali bio-based derivati dal settore agroalimentare e plastica, gomma e schiuma riciclata. L’azienda è nata nel 2017 su Kickstarter per diventare quest’anno una B Corp, la prima nel panorama delle calzature italiane. Quando poi un materiale tessile non sa più trovare una destinazione nell’abbigliamento, ecco che può diventare arte. Le ideatrici di Noloom recuperano tessuti scartati dell’industria tessile italiana e li riconfezionano in opere d’arte.

Indossare una nuova mentalità

La moda è uno di quegli ambiti in cui finora la nostra società non è stata troppo attenta: dagli scandali sociali delle condizioni di lavoro nei paesi in cui si fabbricano i nostri capi, alla scoperta dell’insostenibile peso ambientale del sistema del fashion, soprattutto quando fast. Sembra tuttavia che un’ondata di innovazione stia investendo questo settore e, come visto, si stanno aprendo tante strade per ripensare il mondo dell’abbigliamento in prospettiva di un’economia circolare, per definizione sostenibile e rigenerativa. Non possiamo perdere l’occasione di essere investiti da questa consapevolezza anche noi consumatori, ma anzi dobbiamo iniziare a guardare il nostro armadio con occhi diversi. Una moda sostenibile è possibile e tante idee nascono nel nostro paese, impariamo perciò a riconoscerle e farle nostre. E la prossima volta che parlerai con quell’inglese e quel francese, avrai sì un buon motivo per essere orgoglioso della moda italiana.

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