Palazzo Te è la splendida dimora suburbana fatta costruire da Federico Gonzaga a Mantova. Destinata agli svaghi con l’amata Isabella Boschetti, agli impegni istituzionali e alle occasioni di rappresentanza, fu progettata e realizzata in tutti i suoi aspetti (progetto architettonico, organizzazione cantieri, decorazione ad affresco degli interni ecc.) dal genio di Giulio Romano e dai suoi aiutanti a partire dal 1526. Nel luogo in cui oggi sorge palazzo Te si trovavano precedentemente le scuderie del padre di Federico Gonzaga, Francesco II. Il progetto di Giulio Romano sfruttò in parte le murature di questo edificio per creare qualcosa di molto diverso: una grande delizia principesca fuori città, che gareggiava per bellezza e grandiosità con quelle di Ferrara (città da cui proveniva la madre di Federico, Isabella d’Este).

1. Perché si chiama Palazzo Te
Il nome del palazzo deriva dall’isola che si trovava ai margini della città di Mantova, chiamata del Tejeto (di cui Te è abbreviazione). L’isola è scomparsa da quando il lago Paiolo è stato interrato nel corso del Settecento.

2. La nascita del progetto secondo Vasari
Secondo Vasari, l’idea di costruire in quel luogo un palazzo sarebbe nata durante una passeggiata. Giulio Romano e il marchese Federico II Gonzaga: «se n’andarono fuor della porta di S. Bastiano, lontano un tiro di balestra, dove sua eccellenza aveva un luogo e certe stalle chiamato il T(e) […] E quivi arrivati, disse il marchese che avrebbe voluto, senza guastare la muraglia vecchia, accomodare un poco di luogo da potervi andare ridurvisi al volta a desinare, o a cena per ispasso» (Giorgio Vasari, Vite de’ più eccellenti pittori, scultori, architettori, 1568).
3. Il significato nascosto della camera dei Giganti
La stanza più celebre del palazzo è senza dubbio la camera dei Giganti, la cui decorazione pittorica, caratterizzata da figure colossali e ultraespressive che precipitano sullo spettatore, crea da sempre effetti stupefacenti di coinvolgimento. Giulio Romano racconta qui la sconfitta dei Giganti che, dopo aver cercato di ribellarsi agli dei dell’Olimpo, vengono respinti e scaraventati giù dal monte dal potente Zeus. Non tutti sanno che l’episodio allude alle vittorie dell’imperatore Carlo V, che nel 1530 venne in visita al palazzo e di cui Federico era una sorta di “vassallo”. Il richiamo a Carlo V è reso ancora più esplicito dall’aquila ad ali spiegate che campeggia al centro del soffitto, al contempo attributo del padre degli dei e simbolo dell’imperatore.
4. Il fratello romano del banchetto di Amore e Psiche
Un’altra notissima camera del palazzo è la sala di Amore e Psiche, sulle cui pareti viene raffigurata la preparazione del loro banchetto nuziale. Giulio Romano riprende qua un tema con cui si era confrontato dieci anni prima a Roma, negli affreschi della Villa di Agostino Chigi (oggi detta della Farnesina) quando Giulio ancora si trovava presso la bottega di Raffaello. A Mantova, come direttore della bottega, Giulio Romano infonde nella composizione un senso del movimento e un’accensione cromatica più accentuati.


5. Il gioco manierista delle facciate
Girando attorno al Palazzo ci si accorge che nessuna facciata è uguale all’altra. Per ciascuna di esse si prevede un ritmo unico nell’alternanza di lesene, colonne, finestre… Anche la scansione delle superfici è “dissonante”, variata giocosamente con pieni e vuoti, parti lisce e bugnate. Questo gusto per la trasgressione delle regole formali è tipico del gusto manierista.

6. Il giardino segreto
Attraversato il grande cortile di Palazzo Te si può raggiungere il luogo più appartato e intimo della dimora. Federico volle infatti un luogo privato, una sorta di piccolo appartamento che sorge intorno a un giardino segreto. L’amore per questi luoghi nascosti per la contemplazione e il riposo in solitudine è una caratteristica che accomuna Federico e la madre Isabella. Anch’ella aveva infatti voluto per sé un giardino segreto nel suo appartamento privato a Palazzo Ducale.
Giardino segreto di Palazzo Te Giardino segreto di Palazzo Ducale
7. Le salamandre
Visitando le stanze del Palazzo ci si accorge di un simbolo ricorrente negli affreschi: la salamandra. Il termine più corretto per indicare questi emblemi associati a motti che ricorrono nel Rinascimento è “imprese”. L’impresa della salamandra, insieme al motto Quod huic deest me torquet, ovvero “Quel che a lei manca mi tormenta” allude ad un’antica credenza per cui questo animale avrebbe una temperatura corporea così bassa che il fuoco non può nuocergli. L’impresa è associata a Federico Gonzaga per contrasto: mentre egli arde ed è tormentato dal fuoco d’amore acceso in lui da Isabella Boschetti, la salamandra è indenne a queste torture.
Foto dell’articolo di Beatrice Savazzi.