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Turismo letterario: alla scoperta del borgo di Erice

«Erice, il “Monte”
I secoli qui hanno dato appuntamento
a dei e semidei, a eroi e ninfee,
a santi ed eremiti, alla fede e all’arte.
Ed essi vi si sono incontrati
e ancora vi convivono mirabilmente,
dopo guerre, splendori e miserie,
quando la vista, dal sommo del Monte,
spazia verso azzurri orizzonti
e si muove,
fecondata da antiche memorie,
verso dimensioni sconosciute
gravide di infinito
per raggiungere
Erice senza tempo»

(Pietro Messana, Erice senza tempo-Timeless)

Come molte altre città siciliane, Erice è passata da un popolo invasore all’altro, e ciascuno di questi ha lasciato diverse impronte culturali e testimonianze architettoniche. Il nome è cambiato da Eryx a Gebel Hamed, poi Monte San Giuliano ed infine Erice, ma il suo carattere essenziale è rimasto, ribadendo ostinatamente ogni tentativo di cambiare la sua vera identità. Spesso ricoperta da nubi, Erice è una città medievale meravigliosamente conservata che offre le viste più spettacolari e un palpabile senso storico, ma non solo, anche la storia e lo sviluppo della letteratura latina e italiana sono passati da questa città.

Erice (Èrici o U Munti in siciliano) è un comune di 27 567 abitanti del libero consorzio comunale di Trapani in Sicilia. Nel centro cittadino, che è posto sulla vetta dell’omonimo Monte Erice, sono residenti solo 1024 abitanti (popolazione che si decuplica nel periodo estivo), mentre la maggior parte della popolazione si concentra a valle, nell’abitato di Casa Santa, contiguo alla città di Trapani.

La vista della falce, la forma della costa di Trapani da Erice. Sullo sfondo le tre isole dell’Arcipelago delle Egadi, Favignana, Levanzo e Marettimo.

Visitare Erice seguendo le orme di un solo poeta, artista o personaggio risulta riduttivo poiché questo piccolo borgo medievale è un vero compendio di storia, di letteratura e d’arte. Questo percorso, che nasce come un progetto di valorizzazione del territorio, si basa su cinque tappe, cinque luoghi che raccontano Erice attraverso la storia, la vita, le poesia o le leggende di cinque personaggi che sono passati da lì o a quel luogo sono legati.

Il fascino di Erice, la sua storia e le sue risorse sono state le tre caratteristiche principali per la creazione di un itinerario letterario (o culturale), mai esistito finora, dislocato tra luoghi e monumenti del piccolo paese che si innalza sulla costa trapanese. Il nome dell’evento è EriceIncanto.

Il Castello di Venere: Giorgio Vasari e Giosuè Carducci

Il castello è sicuramente il simbolo di Erice. Risale al XII secolo e sorge su una rupe isolata nell’angolo sud-orientale della vetta del monte, costruito dai Normanni sulle rovine del tempio elimo-fenicio. Attualmente vi si accede tramite delle scalinate, in sostituzione del ponte levatoio dato che era una fortificazione militare.

Il castello di Venere è il luogo dove avvenivano i riti sacri in onore della Venus Erycina (ridens) protettrice dei naviganti. Nel mese di agosto le colombe bianche partivano dal recinto sacro del santuario per la costa cartaginese, da cui facevano ritorno dopo nove giorni, guidate da una colomba di colore diverso che si diceva incarnasse la dea. Le feste per la partenza delle colombe erano dette Anagoge, quelle per il ritorno Catagoge.

Quali sono i collegamenti letterari?

“..come Giove dall’aquile, Venere dalle colombe, la luna dalle femmine…” (Giorgio Vasari , Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue a’ tempi nostri parte III dedicata a Perino del Vaga). Perino del Vaga dipinse I carri dei Pianeti (Sala dei Pontefici, appartamento Borgia, musei Vaticani). La figura a stucco della Venere si presenta su un carro trainato da colombe in volo che rimanda proprio al culto della Venere di Erice e alle feste a lei dedicate (le feste per la partenza delle colombe erano le Anagoge, quelle per il ritorno Catagoge, rito sacro del tempo della dominazione cartaginese) ed è espressione di un retaggio culturale ancora radicato nelle menti dell’uomo rinascimentale.

“De l’ombroso pelagasoErice in vetta/ Eterna ride ivi Afrodite e impera/ E freme tutt’amor la benedetta/ Da lei costiera” (Giosuè Carducci, Primavere Elleniche, libro IV, II Dorica, in Rime Nuove 1887). Carducci ricorda la bellezza e l’aurea mistica di quei luoghi mai visitati, ma soprattutto il classicismo diventa metro con il quale misurare la società in cui stava vivendo; inoltre celebra un’altra caratteristica tipica del culto della Venere ericina, il suo sorriso (Eterna ride).

La Toretta Pepoli, il rifugio del Conte

Il Conte Agostino Sieri Pepoli studioso ed archeologo volle riservarsi un posto privilegiato dove potersi rifugiare per i suoi studi e praticare le sue attività di collezionismo e mecenatismo. Per questo ideò e costruì nel 1870 sopra un picco roccioso sotto il Castello di Venere, una casina in stile moresco, articolata in quattro piani, la Torretta Pepoli. In quegli anni il conte, nel suo rifugio silenzioso, ospitò vari uomini di cultura, tra cui il letterato Ugo Antonio Amico, l’artista Alberto Favara, l’archeologo Antonio Salinas e il ministro Nunzio Nasi. Erice divenne come un museo a cielo aperto.

I giardini del Balio: lo scontro tra Bute ed Erice e il libro V dell’Eneide

Fu il Conte Agostino Pepoli che creò questi giardini in stile inglese chiamati “del balio” a memoria del bajuolo, magistrato normanno. Percorrendoli si respira l’aria frizzante e si percepisce la frescura della vegetazione fitta che ripara dai raggi del sole.

Quali altri personaggi sono legati ad Erice?

«Erice (come piace a Theodontio) fu figlio di Buthe, e Venere. Ma Servio dice di Nettuno, e Venere, e essere stato nel numero degli Argonauti; onde dice, che Venere andando a diporto per lo lito di Sicilia da Nettuno fu impregnata, e partorì Erice[…] e sulla cima di quel monte vicino a Trapani fece edificare un gran tempio, e alla madre sacrarlo, chiamandolo il tempio di Venere Ericina» (Giovanni Boccaccio, Genealogia degli dei Gentili, libro X, parte V)

C’è un dibattito intorno alla nascita di Erice, ovvero se era figlio di Bute o di Nettuno. Giovanni Boccaccio, attingendo informazioni dagli storici Servio e Teodonzio, scrive su tale dubbio in Genealogia degli dei Gentili; al di là di tale dibattito, rimane costante l’istituzione del culto di Venere ericina per mano del figlio che le innalzò il castello sulla vetta del monte attorniato da splendidi giardini.

Virgilio cita Erice nel libro V dell’ Eneide. Nel libro III, Anchise muore e viene seppellito sulle rive del mare che bagna Erice ed Enea gli erige il tumulo in quello scoglio che ancora oggi è conosciuto come «stele di Anchise». Da lì Enea salpa per l’Africa ritorna ad Erice dopo un anno per organizzare i giuochi funebri in onore del padre. La descrizione di Virgilio delle accoglienze fatte ad Enea da Aceste, re di Erice e fondatore di Segesta, dei riti e dei giuochi funebri in onore di Anchise costituiscono uno dei più bei libri del poema.

Il Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana: l’indagine di Leonardo Sciascia

Nelle mappe che aiutano i turisti a districarsi nel dedalo di viottoli e stradine campeggia la scritta: “Erice, city of peace and science” (Erice, città di pace e scienza). Nel 1962-63 il fisico trapanese Antonino Zichichi fondò il Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana. Fino alla metà del XIX secolo, i locali dell’attuale istituto ospitavano una comunità di monache clarisse, successivamente all’anno 1866, con l’annullamento delle corporazioni religiose, il comune utilizzo l’edificio come orfanotrofio fino ai primi anni ’60.

Il luogo ha un collegamento letterario con lo scrittore Leonardo Sciascia, che nel 1975 pubblica un saggio-racconto intitolato “La scomparsa di Ettore Majorana“, costruito sull’interrogativo se fosse stato suicidio, come volevano far credere gli inquirenti, o fuga volontaria dello scienziato Ettore Majorana per evitare la sottomissione della scienza ad un uso “malvagio”. Ma Sciascia stesso conosceva personalmente Erice poiché la visitò quando scrisse per il periodico “Epoca” un inserto della rubrica ‘Cara Italia’ dedicato alla Sicilia.

archivio Epoca, rubrica “Cara Italia”, Sicilia scritto da Leonardo Sciascia

Porta Trapani, il saluto di D’Annunzio

Erice è un borgo circondato da mura che risalgono al VIII secolo a.C., grazie all’intervento degli Elimi e successivamente rinforzate dai Punici, per poi essere completate dai Normanni. Questi ultimi aggiunsero anche tre porte, Porta Trapani, Porta Carmine e Porta Spada.

Porta Trapani è la modalità di ingresso ed uscita più immediata poiché collocata difronte la funivia. Qui il tour termina leggendo i versi del Vate Gabriele D’Annunzio:

«E l’altro monte, e l’altro monte ei vede, l’Erice azzurro, solo tra il mare e il cielo divinamente apparito, la vetta annunziatrice della Sicilia bella!».

(Gabriele D’Annunzio , La notte di Caprera, 22 gennaio 1901 , in Elettra 1903-04).

Elettra è il secondo libro delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi. La notte di Caprera è un frammento della più ampia “Canzone di Garibaldi“. Con questi versi il visitatore saluta Erice terminando l’itinerario con la speranza di tornare di nuovo in questo piccolo compendio di storia.

La cultura come attrattore non è da intendersi solo come patrimonio di beni artistici, naturali e paesaggistici, ma anche patrimonio di storie, leggende, personaggi, narrazioni, romanzi che parlano del luogo. La cultura e la letteratura sono strumenti di promozione umana, di collettivizzazione, di condivisione, di esperienze uniche ed irripetibili nell’era della riproducibilità. 

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