Questo che stai per fare è un piccolo viaggio, decennio per decennio, nella storia del cinema italiano. Ci sono film che avrai sicuramente visto e altri che magari non conoscevi, ma che potresti voler recuperare. Sono tutti film con un’importanza storico-culturale e che hanno saputo raccontare, in epoche diverse, il proprio tempo.
Iniziamo!
1. Cabiria (1914)

Partiamo dal cinema muto (don’t roll your eyes, ti vedo!) con Cabiria di Giovanni Pastrone, il primo film della storia ad essere proiettato alla Casa Bianca. Si tratta di un vero e proprio kolossal: la durata originaria è di circa tre ore (tremilacinquecento metri di pellicola), ma la copia pervenuta ai nostri giorni è di due ore e venti minuti. Dato che per gli standard dell’epoca fu anche costosissimo da realizzare, per assicurare il successo commerciale del film, Pastrone si rivolse a Gabriele D’Annunzio, che ideò i nomi dei protagonisti e compose le didascalie del film.
Piccolo extra: il carrello cinematografico (ovvero la cinepresa montata su rotaia) è un brevetto di Pastrone e quando Alfred Hitchcock arrivò a Torino, per visitare il Museo del Cinema, disse che in Inghilterra il carrello veniva chiamato “Cabiria”.
2. Telefoni bianchi (1930-40)

Il cinema dei telefoni bianchi è un filone della commedia cinematografica italiana degli anni trenta e quest’espressione deriva proprio dal colore bianco dei telefoni presenti nelle case borghesi in questo tipo di film. Chic! Il bianco dei telefoni simboleggiava un certo status sociale e una condizione di benessere elevata, a differenza dei telefoni in bachelite, generalmente di colore nero, più economici e quindi più “popolari”. Tra le pellicole più rappresentative vorrei ricordare La casa del peccato (1938) e Assenza Ingiustificata (1939) con Alida Valli e Amedeo Nazzari, due degli interpreti più significativi del periodo.
3. Roma città aperta (1945)

Italia 1944, a qualche mese di distanza dalla liberazione della capitale, nasce Roma città aperta di Roberto Rossellini, il manifesto del neorealismo italiano. Il film racconta l’Italia liberata dall’occupazione nazifascista in uno dei suoi momenti più fragili e tragici. Un film – che nella sua cruda e violenta realtà – diventa (e rimane tuttora) fondamentale per la storia del cinema italiano, ma anche per la nostra memoria collettiva. Diceva Jean-Luc Godard che «con Roma città aperta l’Italia ha riconquistato il diritto di guardarsi di nuovo in faccia».
4. I soliti ignoti (1958)

Il cast: Vittorio Gassman in veste comica, Claudia Cardinale ai suoi esordi, una breve ma memorabile incursione di Totò e, ultimo ma non ultimo Marcello Mastroianni, per la regia di Mario Monicelli. Il mix perfetto per il successo della nascente commedia all’italiana.
Perché è stato così importante questo film? Io lo definirei “drammaticamente comico” nel senso che è stato volontariamente girato come se fosse un film drammatico, ma con l’intento di far ridere, mostrando un’Italia che si sta pian piano riprendendo dalla guerra. I soliti Ignoti ottenne una candidatura agli Oscar come miglior film straniero e ci furono anche due rifacimenti a Hollywood: Crackers (1984) di L. Malle e Welcome to Collinwood (2002) di Joe & Anthony Russo.
5. La dolce vita (1960)

Diciamocelo, è il film che ha scolpito il nostro immaginario collettivo (iconica la scena nella Fontana di Trevi) e che all’estero è diventato sinonimo di “italianità”. Il 5 febbraio del 1960 usciva nelle sale cinematografiche La dolce vita di Federico Fellini, una delle pellicole più celebri nella storia del cinema con protagonisti Marcello Mastroianni e Anita Ekberg. In un’intervista Martin Scorsese descrive il cinema di Fellini come:
«uno scrigno delle meraviglie con all’interno un mondo fatto di visioni scintillanti, di bellezza, terrore e assurdità.»
Anche Woody Allen ha dichiarato di essere stato influenzato dalla pellicola felliniana per il suo Manhattan, guardando New York con gli stessi occhi di Fellini su Roma. Un film di notti oniriche e sensuali, ma anche di insoddisfazione, incomunicabilità e contraddizioni del contemporaneo.
6. Per un pugno di dollari (1964)

Quando Sergio Leone vide per la prima volta La sfida del samurai di Akira Kurosawa, ne rimase talmente affascinato da volerne fare una trasposizione in chiave western. Nasce così Per un pugno di dollari, primo film di quella che sarebbe divenuta poi la trilogia del dollaro. Il protagonista, però, si discosta totalmente dallo stereotipo dell’eroe dei film western a cui il pubblico era abituato: Clint Eastwood si presenta in sella al suo mulo, sporco, sudato e completamente a suo agio nella violenza che lo circonda.
Il cinema americano, tanto amato da Leone da ragazzino, dialoga così con l’influenza del Neorealismo italiano, dando vita a un nuovo modo di fare cinema.
7. Il conformista (1970)

«Chi è il conformista? È un uomo che si sente diverso da chiunque altro e di conseguenza prova, con ogni mezzo, ad essere come tutti gli altri. Un conformista, per l’appunto. Vedete il film e decidete voi se è riuscito nell’intento.» Questa la dichiarazione di intenti di Bernardo Bertolucci. Tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia, il regista denuncia il conformismo della classe borghese (che oggi è fascista, domani chissà) e la sua ipocrisia. Fondamentale la collaborazione con il direttore della fotografia Vittorio Storaro, le cui luci e ombre definiscono gli strati del subconscio di Marcello Clerici, il protagonista, portandoci a riflettere non solo sulla società, ma più in generale sulle debolezze umane.
8. Ricomincio da tre (1981)

Gaetano: Chello che è stato è stato, basta! Ricomincio da tre!
Lello: Da zero!
Gaetano: Eh?
Lello: Da zero! Ricomincio da zero!
Gaetano: Nossignore, ricomincio da… cioè, tre cose me so’ riuscite ind’a vita, pecchè aggià perdere pure cheste?! Aggià ricominciare da zero?! Da tre!
Ricomincio da tre è il film d’esordio alla regia di Massimo Troisi, campione d’incassi della stagione 1980/81, in un periodo di profonda crisi per il cinema italiano. In cerca di nuovi stimoli un giovane napoletano, Gaetano, si trasferisce a Firenze. Un racconto di crescita e di ricerca identitaria, che rifiuta qualsiasi stereotipo del napoletano-macchietta e in cui tutto è messo in dubbio: l’idea di emigrazione, i rapporti familiari e amorosi, la religione e il mito del viaggio. Scrivere di Massimo Troisi mi mette una leggera malinconia poiché sapeva cogliere le sfumature delle nostre relazioni e, nei suoi pensieri, più di una generazione è riuscita a riconoscersi.
9. La vita è bella (1997)

“Buongiorno principessa!” Sapevi che, durante le riprese, il titolo della pellicola doveva essere questo? Venne successivamente cambiato in La vita è bella, una frase estrapolata dal testamento di Lev Trotsky che per esteso recita così «La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore». Nel film Benigni omaggia il suo amico di sempre, Massimo Troisi, riprendendo la scena dell’inseguimento/corteggiamento di Ricomincio da tre. Un film a metà tra la sofferenza dell’essere adulto e la meraviglia dell’infanzia, in mezzo il “gioco” per salvaguardare un immaginario di innocenza e libertà. Memorabile alla cerimonia di premiazione degli Oscar la commozione di Sophia Loren nell’aprire la busta del vincitore. È stato il film italiano di maggior incasso in Italia fino al 2011, quando è stato superato dal film Che bella giornata di Checco Zalone.
10. La grande bellezza (2013)

C’è chi lo ama e chi lo odia, un po’ come il suo regista, Paolo Sorrentino. Il film, che strizza l’occhio a La Dolce Vita di Federico Fellini, è il racconto di tutte le esistenze e di nessuna in particolare, di una Roma borghese e superficiale. Un viaggio onirico, quello de La Grande Bellezza, nella vuotezza esistenziale umana e nella solitudine del protagonista Jep Gambardella (Toni Servillo). Presentato in concorso al Festival di Cannes e vincitore del premio Oscar come miglior film straniero per un film italiano dopo ben quindici anni (l’ultimo fu La vita è bella di Roberto Benigni nel 1999).
+1. Favolacce (2020)

Favolacce dei Fratelli D’Innocenzo è il film che merita una menzione speciale e può dare un’idea della direzione che sta prendendo il cinema italiano contemporaneo. Premiato al Festival di Berlino per la migliore sceneggiatura, si apre come un racconto, con una voce fuori campo che ci fa entrare in un mondo fantastico travestito da realtà. Favolacce – come dichiarano i D’Innocenzo – è la fusione delle parole favole e parolacce, un film con al centro i bambini la cui sensibilità si va a scontrare con la disillusione del mondo adulto. Una favola grottesca contemporanea – quasi un incubo – ambientato in un quartiere nuovo di Roma sud con le villette a schiera. Ti avverto: dopo aver visto il film continuerai a pensarci per giorni e giorni.
Martina Dell’Utri