Quando parliamo d’amore finiamo con il dare sempre una personalissima interpretazione di esso in funzione del nostro umore, del meteo fuori dalla finestra, delle congiunzioni astrali e tanto ancora; insomma: la concezione dell’amore sembra dipendere da qualunque cosa, tranne che da noi stessi.
E nell’esatto momento in cui ci imbattiamo nell’amore, non sappiamo mai realmente cosa fare, perché che se ne dica, è un sentimento particolarmente scaltro che ci coglie alla sprovvista, tipo l’amico che ti fa “Bu” da dietro una porta. Esso ci sorprende impreparati in momenti in cui credevamo di aver trovato quell’agognato equilibrio perfetto, nel quale non avevamo nessunissimo bisogno di avere qualcosa, ma soprattutto di qualcuno per essere felici.
Finiamo così sospinti davanti ad un bivio, che ci vincola nel mettere in discussione quello che abbiamo con tanta fatica ottenuto, o il tenerci a debita distanza da qualunque pulsione interiore, come stessimo fuggendo dal tizio raffreddato e seduto accanto a noi sulla metro delle otto. In questa rubrica voglio raccontare l’amore per quello che è, in alcune delle forme in cui si diverte presentarsi, cercando poi di indirizzare il mio percorso d’analisi all’interno delle emozioni umane.
Per parlare d’amore penso ci voglia tutto pur non avendo bisogno di nulla perché tutti noi almeno una volta nella vita ne abbiamo avuto testimonianza, che fosse rivolto ad un genitore, ad un amico o alla persona che ci ha stregato l’anima. Mi soffermo spesso a riflettere su chi non si concede il lusso di amare qualcuno per la paura di ritrovarsi in una sorta di catastrofe annunciata con il suo subconscio che gli dice “Te l’avevo detto”, ed ogni volta mi chiedo: ma come fate? Comprendo sia tutta una questione di chimica al netto del tutto, ma fuggire quando il cuore vi si inizia a scaldare è come chi lascia l’insegna “Torno subito” fuori dal locale per poi non tornare più, dimenticandosi di chi è li ad attenderlo: per fuggire dove poi?
Tra il sentire tutto e il non sentirlo affatto si interpone un oceano di emozioni, che il più delle volte non siamo nemmeno in grado di spiegare a parole, e che tantomeno riusciamo a gestire nei fatti. È risaputo che la poesia sia da sempre uno strumento efficace per mettere su carta i tumulti dell’anima, ma ce ne sono alcune, talvolta poco conosciute che riescono con una facilità disarmante a renderci consapevoli e capiti rispetto a qualcosa di così contorto. Le tre sfumature che ho deciso di analizzare sono quelle dell’amore passionale, dell’amore romantico e dell’amore disilluso, e vorrei raccontarvi di tre diverse autrici che credo abbiano intrappolato con le loro parole, ognuna di queste modi d’amare.
“La ragione non ha luogo contro la forza della passione”
Il punto di partenza per questo nostro viaggio si colloca nella figura di Patrizia Valduga, poetessa nata intorno agli anni 50 del 900 e autrice di numerose quartine che, con trasporto d’immagine, raccontano l’essenza prima ed ultima dell’amore passionale. In esse si ritrova quell’erotismo ricolmo di fisicità che guarda anche al volto nascosto della luna, dove risiede silenziosa la componente incorporea della passione, capace di elevare lo spirito. L’autrice non solo racconta la carnalità dell’amore appassionato, dove l’osceno riemerge senza timore e pudore, ma pone al centro della sua riflessione la figura dell’altro. Nei suoi versi “l’altro” è colui con cui condivide emozioni a contrasto, tra piacere e sofferenza, dono e privazione, tra il prima e il dopo.
“Per me dentro di me oltre la mente Il suo corpo su me come una coltre Ma oltre il corpo in me furiosamente In me fuori di me oltre per oltre…”
L’altro come centro del suo essere, come qualcosa di non prettamente fisico, ma estraneo alla carne, seppur radicato nella sfera del tangibile.
“Portami via con te, stringimi forte, portami via da tutta questa morte.”
E con grande efficacia, racconta il suo sentire tutto, il suo ascolto verso la passione che risulta essere fluida, poiché l’amato in lei scorre come acqua, che mischiandosi al sangue e al tempo del presente, la riempie colmando non tanto i vuoti, quanto la sua pienezza di donna.
“E gli dicevo: Si, sentire è tutto.
E tutto in me che sente sente te.
Ti sento in me, ti sento fin nel flutto del tempo-sangue freddo in tutta me.”.

“T’amai, dunque, t’amai, e t’amo ancor
di un amore che non si può concepire che da me solo”
Nel nostro percorso dentro l’umano sentire è collegata alla figura di Antonia Pozzi, poetessa classe 1912, milanese, portatrice di un modello d’amore crepuscolare e malinconico, che toglie spazio alla felicità per aprire orizzonti verso la disillusione. I suoi scritti raccontano le lacrime di un amore non corrisposto per un suo professore, che fungono quasi da nuova linfa per un ritorno alla vita, nonostante la sofferenza di un sogno mancato sempre presente.
“Nell’aria della stanza
non te guardo
guardo
ma già il ricordo del tuo viso come mi nascerà
nel vuoto”
Antonia ci racconta quella venatura dell’amore che non ha quasi nulla di consolatorio ed è lontana da ogni senso di completezza come se nonostante i tentativi, vi fosse un’ombra cupa che non le permette di sollevare il suo animo, sospinto verso il basso da pensieri spenti.
“Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini su favolose rive
tra superstiti colonne e ulivi e spighe”.
Donare noi stessi a qualcuno è qualcosa di davvero speciale, significa aprire un granello di sabbia in due per farci stare entrambi (come direbbe Franco Arminio), consapevoli di tutti i ma, di tutti i forse, di tutti i dubbi che sulla strada si incontreranno, e che l’autrice sarebbe disposta a vivere, se solo l’amato gliene avesse dato l’occasione.
“E poi,
dietro la porta per sempre chiusa, sarà la notte intera,
la frescura,
il silenzio.
E poi,
con le labbra serrate,
con gli occhi aperti
sull’arcano cielo dell’ombra,
sarà
– tu lo sai –
la pace.”
Quando penso alle sue composizioni poetiche, mi torna sempre alla mente una vecchia canzone di Cesare Cremonini che faceva “Cos’è successo la tua stella, la tua stella si è eclissata, e ora provaci dal buio, a brillare senza me”, perché si l’autrice si è spenta come una candela esposta alle correnti, poiché l’amore non corrisposto prima scotta, poi brucia e alla fine lascia solo un cumulo di ceneri. Però Antonia, se posso restituirti un consiglio, non darti per vinta perché prima o poi le correnti cambiano e le ceneri disperse nel vento tornano a vita nuova arrivando in ogni dove. E così come fosse scritto nelle stelle, il destino ci colloca nel posto in cui dobbiamo essere quasi tutte le volte in cui non lo credevamo possibile, forse perché è valida la legge secondo cui solamente il “vero” resiste alla forza tempo, così che le emozioni sappiano sempre imparare una nuova strada per ritrovarci, anche a chilometri di distanza.
Quindi che sia amore passionale, romantico o disilluso, bisogna sempre dargli il giusto tempo per evolvere, donando alla nostra anima la capacità di crescere con esso, coltivandolo con pazienza e amando noi stessi come punto di partenza. Forse il segreto sta proprio lì, perché l’amore vero si rivela e ti resta accanto, ma solo quando l’universo sente che sei tu quello realmente pronto, perché così come dicevo all’inizio: è tutta una dannata questione di congiunzioni astrali #mannaggialloroscopo.
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