L’Italia storicamente è una delle terre più ricche tra quelle che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, sia per quanto riguarda arte e cultura, sia per quanto riguarda fauna e biodiversità.
Su suo suolo vengono cacciati e allevati una moltitudine di animali diversi da migliaia di anni e, tramite l’incrocio, siamo riusciti a convertire nel corso del tempo il selvatico cinghiale, peloso, duro e cornuto, in un animale più pacato e grasso: il maiale.
Oggi il maiale è parte integrante della dieta di molti italiani e progenitore di alcuni dei nostri migliori prodotti gastronomici: prosciutto, coppa, culatello, guanciale, lardo, ciccioli e via dicendo.
Pur avendo i migliori prodotti al mondo però, quando si parla di salumi, c’è sempre quel qualcuno che si sente obbligato a tirare in ballo il Patanegra, prosciutto spagnolo derivato da una particolare razza di maiale nero (Maiale Iberico Puro) generalmente allevato allo stato brado o semi-brado.
E questo prodotto, sicuramente eccellente, viene spesso paragonato (dagli italiani che ne parlano) ai nostri prosciutti con un posizionamento gerarchico più elevato: è considerato più buono.
Ma è qui che ci si sbaglia di grosso…
I maiali neri regionali
Andiamo indietro nel tempo: storicamente, già quando a comandare erano gli antichi romani, il maiale in Italia era nero, con le sue diversificazioni territoriali.
Abbiamo una lunga lista di maiali neri autoctoni: Nero di Cavour (maiale nero piemontese), Nero di Parma, Nero delle Alpi, Mora Romagnola, Cinta senese (maiale nero toscano), Nero dei Nebrodi (maiale nero siciliano), Nero Casertano, Nero Calabrese, tutti con le loro diverse caratteristiche ed attitudini.
Il fatto assurdo è che questi maiali autoctoni oggi sono a rischio d’estinzione, e tutto per questioni puramente economiche e commerciali…
Infatti oggigiorno si alleva per la stragrande maggioranza un’altra razza di maiale: il Large White, il classico maiale rosa che tutti abbiamo in mente, che però non è italiano ma inglese.
Il maiale rosa è più veloce nella crescita fisica, ha una miglior resa di macellazione (più carne per chilo di animale vivo) ed è più prolifico (partorisce più cuccioli), tutte caratteristiche che hanno reso il suo utilizzo nelle stalle italiane quasi una “regola”.
I nostri maiali neri, invece, hanno le stesse caratteristiche dell’Iberico: sono generalmente allevati allo stato brado, hanno una carne più rossa e più infiltrazioni di grasso, fatto che rende la carne più saporita e gustosa.
Questi maiali sono frugali, rustici, abituati alla difficile convivenza con l’habitat naturale delle loro zone d’origine, dove un Large White allo stato brado non sopravvivrebbe, mentre un autoctono nero pascolerebbe tranquillo.
Gli allevatori di maiali neri italiani sono pochi, purtroppo, ma sfido chiunque a trovarne uno, prendere il loro prosciutto per mangiarlo “alla cieca” insieme al miglior Jamon Iberico sul mercato.
Il palato risponderà da solo.
Il Patanegra italiano
La retorica comune è quindi questa: il Patanegra è un prodotto eccelso, e ciò è sicuramente vero, ma vi siete mai chiesti il perché?
Lo è perché è frutto dell’ecosistema in cui è racchiuso: la particolare razza (il maiale nero autoctono), il luogo in cui vive e mangia (non chiuso nella stalla, non gonfiato di mangimi scadenti, ormoni e antibiotici ma all’aria aperta nella sua terra con radici, tuberi, castagne, ghiande…) e la mano dell’artigiano nel suo allevamento…
Tutti dettagli che valgono allo stesso modo per i nostri maiali neri, che pascolano nelle nostre montagne, pianure e colline.
Ed è per questo che anche noi abbiamo il “Patanegra”, ma lo abbiamo in casa e con svariati altri nomi e luoghi di provenienza.
E sia chiaro, non è questione di fare paragoni nazionalistici per rimarcare quanto siamo i più bravi e i più belli.
Per me è sempre importante scoprire prima di tutto la propria terra e i suoi frutti, prima di andare a cantare le lodi (meritate) degli altri, perché nel momento in cui ci si dimentica della storia e si pensa solo al profitto perdiamo ciò che rende la nostra terra così affascinante, ricca e famosa agli occhi di chi non la vive…
Perdiamo un pezzo di noi.
Abbiamo sostituito la qualità con l’efficienza
L’esempio è proprio questo: ci si dimentica dei nostri maiali, li sostituiamo con altre razze più “prestanti” per l’economia ma di fatto meno pregiate a livello di qualità per poi allontanarci da casa per andare a comprare un prodotto qualitativo quando in realtà quella stessa qualità l’avremmo già sotto il naso.
È normale che un Patanegra (o un maiale nero italiano) sia più buono di un qualsiasi prosciutto derivato da Large White allevato in stalla: quest’ultimo è un ambiente asettico, dove l’animale non si nutre come si nutrirebbe in natura e la sua carne, allevata in stalla intensiva (in Pianura Padana, in Abruzzo, in Romania, in Inghilterra o in qualsiasi altro posto) risulta sempre uguale, il sapore non cambia mai, proprio perché gli vengono tolte le variabili che rendono un prodotto gastronomico “vivo”.
Siate curiosi, girate la vostra terra e l’Italia, chiedete ai vecchi, ai contadini e a chi abita i paesini di darvi indicazioni. Scoprite chi ancora lavora questi maiali e chi li alleva in maniera sana. È semplice comprare due etti di prosciutto al supermercato, lo faccio anch’io, ma la vera gastronomia è altro, è avventura ed incertezza, è viaggio e scoperta. Guadagnatevi quella fetta di prosciutto perché fidatevi, avrà un altro gusto.